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I Parchi Letterari® "Viaggi nel futuro della Memoria"

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I PARCHI LETTERARI® IN CALABRIA "VIAGGI NEL FUTURO DELLA MEMORIA" - IL CIBO


Il viaggio non poteva concludersi senza aver parlato del piacere delle tavola che in questa terra di meraviglie continua a stupire il senso del gusto oggi come un tempo...

In Calabria la gastronomia proviene dalla tradizionale cucina casalinga di quei contadini e pescatori calabresi, intenti a rielaborare e ad aggiungere "sapore" agli alimenti più poveri e semplici di cui disponevano quotidianamente. Ma quei cibi semplici di allora oggi sono diventati preziosi gioielli, sapori "forti" e genuini che hanno conservato quel gusto che oramai è scomparso quasi ovunque. La tradizione ha tramandato i segreti della lavorazione degli ortaggi, delle carni, in modo particolare del maiale e del pesce spada che abbonda nelle acque antistanti Scilla e Bagnara.
La coltivazione del peperoncino, detto anche la "spezie dei poveri", che fu portato in Calabria nel 1500 dal nuovo mondo, rende più vivaci piatti semplici sì, ma sempre inconfondibili. Da secoli il peperoncino è alla base di ricette popolari curative, magiche ed afrodisiache. Molte altre spezie, come lo Zafferano coltivato in Sila, importato dagli arabi, sono utilizzate nei piatti. Una doverosa citazione a parte per la le famosa cipolla di Tropea, altro orgoglio regionale insieme al peperoncino.

Questa terra soleggiata regala profumati agrumi, olive, oltre che ortaggi e vini. Possiede olio d’oliva extravergine di qualità come il “Lametia” ed il “Bruzio” e vini pregiati provenienti dalle zone vinicole di Bivongi, Cirò, Lamezia Terme e Castrovillari. La produzione si estende a decine di altri bianchi e rossi di pregio e unici , come il Bianco sulla costa jonica dove si coltivano vitigni di greco bianco, il più antico vitigno in Italia. I coloni greci battezzarono la Calabria, Enotria, "terra del vino".
Poi la tradizione delle conserve sott’olio dei prodotti della terra e del mare. Si conserva di tutto: pomodori essiccati al sole, saporitissime melanzane, dolcissime olive nere e verdi, capperi, carciofini, funghi porcini e cardoncelli, nonché i piccantissimi peperoncini rossi, vero orgoglio regionale. Dal mare, i tonni pescati nel Mare Tirreno e lungo la costa Jonica, costituiscono il complemento ideale di sughi e insalate.
L'arte di una cucina "povera" ha creato specialità come la “Sardella”, il caviale dei poveri, composta da piccolissime acciughe, dal sole essiccate su tavole di legno e conservate in un impasto di olio e peperoncino, e la Sardella, fatta di neonate di sarde e acciughe cosparse di peperoncino dolce e piccante. Il loro gusto è deciso ma veramente indimenticabile, magari insieme alla versatile "pitta", una focaccia che testimonia e ricorda la tradizionale bontà dei prodotti da forno e del pane calabrese.


Infine i Salumi

Il maiale è un monumento della cucina calabrese. Dalla lavorazione del maiale derivano i salumi più tipici della regione esportati in tutto il mondo: la celebre soppressata, composta da carne magra selezionata tra pezzi di coscia e filetto e insaporita con pepe e sale, le salsicce piccanti e dolci, le pancette affumicate, e ancora il capicollo. Tra le specialità, la n'duja, un salume cremoso ottenuto dagli scarti della lavorazione del maiale, oppure con la trippa e la lingua di cui maggiori produttori sono i paesi della piana di Gioia Tauro.

Nei robusti piatti regionali della Calabria è il maiale a farla da padrone. D’altro canto, l’uccisione di questo animale era un rito che fino a pochi anni veniva celebrato del capofamiglia, assistito da amici e parenti. La lavorazione culminava con un grande banchetto a cui tutti erano invitati. Oggi c’è il norcino “industrializzato”, ma resta vive usanze di giornate conviviali con la tradizionale preparazione delle “frittule”, dove piedini, cotenne, testa, pancetta e parti grasse vengono bollite in un calderone con acqua e sale; alla fine si ricava lo strutto, e i ciccioli che rimangono sul fondo vengono mangiati caldi con un’insalata di melanzane sottaceto e arance.
Accompagnati dal cantastorie in una fattoria calabrese, con l’ausilio di attori ed “improvvisati” partecipanti, il turista può partecipare dell’allegra atmosfera che accompagna il rituale della lavorazione del maiale ed assistere alla lettura del Testamento del porcello (Anonimo IV secolo d. C.) in cui il protagonista, in un susseguirsi di formule notarili infarcite di ironia amara e di comicità, detta le sue ultime volontà prima di passare sotto le mani del cuoco e indica i destinatari di ogni parte del suo corpo.


Il porcellino Marco Grunnio Corocotta fece testamento.

“Poiché non ho potuto scriverlo di mio pugno, l’ho dettato perché fosse scritto.”
Il cuoco Magiro disse: “Vieni qui, sovvertitore della casa, sconvolgitore dell’aia, porcellino che sempre fuggì, oggi ti tolgo la vita.”.
Il porcello Corocotta disse: “Se ho fatto qualcosa, se ho rotto con i piedi qualche vasetto, ti prego, signor cuoco, ti chiedo la vita, concedila a me che ti prego.”.
Il cuoco Magiro chiamò: “Vieni, garzone, portami un coltello dalla cucina, affinché io possa sgozzare questo porcello.”.
Questo venne catturato dai servi, condotto verso il sedicesimo giorno prima delle Calende Lucernine (verso la metà di Novembre), quando abbondano i cavoli, sotto il consolato di Clibanato e Piperato. E non appena capì che stava per morire, chiese un’ora di tempo e pregò il cuoco di poter fare testamento: fece chiamare a sé i suoi parenti, per lasciare a loro in eredità le sue parti da mangiare. E così egli disse:
“A mio padre Verrino dispongo siano lasciati trenta moggi di ghiande e a mia madre Veturina Scrofa quaranta moggi di fior di farina spartana, a mia sorella Quirina, alle cui nozze non ho potuto partecipare, trenta moggi d’orzo. E delle mie viscere donerò le setole ai calzolai, le mascelle ai litiganti, le orecchie ai sordi, la lingua agli avvocati e ai parolai, le budella ai salsicciai, le cosce ai rosticceri, i rognoni alle donne, la vescica ai bambini, i garretti agli schiavi cursori e ai cacciatori, le unghie ai ladroni e al cuoco innominabile lascio il mestello e il pestello che avevo rubato: da Tebeste fino a Trieste possa egli legarsi il collo (impiccarsi) con una fune. E voglio che sul mio monumento sia scritto: «II porcello M. Grunnio Corocotta visse 999 anni e mezzo; se ne avesse vissuto ancora mezzo, avrebbe compiuto mille anni». Miei ottimi estimatori e voi che vi prendete cura di me, vi chiedo di fare buone cose con il mio corpo, che condiate bene con buoni condimenti di noce, pepe e miele, affinché il mio nome sia ricordato in eterno. Signori miei e miei cugini, che avete assistito al mio testamento, fate firmare.”
Firmarono: Lardoso, Braciolino, Speziale, Salsicciotto, Prosciutto, Celsino e Nuziale. Finisce qui il testamento del porcello verso il giorno sedicesimo delle Calende lucernine, felicemente sotto i consoli Clibanato e Piperato.

La Calabria, comunque, rimane sempre il paese degli incredibili, stupendi paesaggi, delle tenaci tradizioni patriarcali, della calda umanità degli abitanti” (Gerhard Rolfhs)