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I PARCHI LETTERARI "NELLA DIMENSIONE DEL VIAGGIO" -
LUOGHI: AGRIGENTO
L’antica Akragas,
che Pindaro definì:
"la città più bella dei
mortali".
“Io prego te, lieta di feste, splendida
fra le città degli uomini,
dimora di Persefone, che stai,
lungo le sponde dell’Acragas
ricco di greggi, sopra il colle solido”
(Pindaro, Pitica 12) |
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Là dura un vento che ricordo acceso
nella criniera dei cavalli obliqui,
in corsa lungo le pianure,
vento che macchia e rode l’arenaria e il cuore
dei telamoni lugubri, riversi sopra l’erba.
Anima antica, grigia di rancori,
torni a quel vento, annusi il delicato muschio
che riveste i giganti sospinti giù dal celo.
Come sola allo spazio che ti resta!
E più t’accori s’ode ancora il suono
che s’allontana largo verso il mare
dove Espero già striscia mattutino:
il marranzano tristemente vibra
nella gola al carraio che risale
il colle nitido di luna,
lento tra murmure d’ulivi saraceni.
(Salvatore Quasimodo, Strada di
Agrigentum) |
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AGRIGENTO: dalle
brevi colline si vede il mare che divide l'isola
dall'Africa. Tutto è verde d'inverno e i fiori dei
mandorli sono un presagio di primavera, ma d'estate
la terra bruciata dal sole si fa gialla. La luce è
sempre intensa, il cielo raramente solcato da nubi. Già
raggrumata su un colle, la città sovrasta - e ora
minaccia con disordinate propaggini di incongrui edifici
- il grande campo di rovine della greca Akragas e
la Valle dei Templi con le colonne doriche di
tufo degli edifici sacri, superstiti o risollevati, su
un ciglione a orlare la conca. In basso quindi stanno il
ricordo e le vestigia della città che vide passeggiare,
vestito di porpora, un diadema d'oro in testa e
accompagnato da reverenti allievi, Empedocle, filosofo,
medico, indagatore della natura. In alto le case, le
strade, le atmosfere della città, già araba, medievale,
barocca.
“Da ogni fase della costruzione traspare comunque un
senso di grande perfezione. Forse è questo ciò che già
nella tarda antichità attirò flussi di viaggiatori, e
che li mobilita ancora adesso” (E. Jünger).
“C’è pure nella vita di Agrigento un’abbondanza di
personaggi strani, belli, importanti e splendidi che
corrono sulla bocca di tutti. Poiché questa città era
una delle più meravigliose di quelle elleniche, certo
non così potente come Siracusa, ma così ricca,
abbondante e non meno spiritosa e felicemente dotata.
Già
molto prima dei greci essa era la capitale dei Sicani.
Secondo le cronache di Diodoro, il Re sicano Kokalos
ebbe ospitato il Dedalo scappato da Creta che gli
costruì un castello sulla collina di Kamikos.
... L’Agrigento ellenistica nacque nel secondo anno
della XLI Olimpiade (582 a.c.) come città coloniale
della vicina Gela e presto superava sua madre di
grandezza e ricchezza dato che il commercio con
Cartagine le dava una crescita veloce.
... Diodoro ci racconta tanto della vita di Agrigento.
Egli dice che c’era una grande abbondanza perché gli
agrigentini avevano coperto la loro terra con viti e
ulivi e dato che avevano intrapreso il commercio con la
Libia diventarono ricchi.
... “La gente, dice Diodoro, si abituava già da bambino
all’abbondanza. Loro mettevano i più delicati vestiti e
gioelli d’oro. Avevano soprattutto pettini e
bottigliette di profumi d’argento e d’oro”.
(Passeggiate a Napoli e in Sicilia” di Ferdinand
Gregorovius)
Nei secoli successivi le continue lotte tra greci e
cartaginesi, ai quali Akragas fu alla fine
costretta ad allearsi, portarono a una lenta decadenza.
Roma la conquistò saccheggiandola nel 262 e la occupò
definitivamente nel 210 a.C.
“Di là l’alta Agrigento rivela lontano
le mura possenti, un tempo generatrice di cavalli
magnanimi”
Virgilio (Eneide, III, vv.703-4)
Con
l'età imperiale, allontanatesi dalla Sicilia le correnti
di traffico, per la romana Agrigentum fu la
decadenza irreversibile. In epoca bizantina la città fu
abbandonata e i superstiti si arroccarono sulla collina
ovest che, occupata nell'828 dai musulmani, fu chiamata
Girgenti e rapidamente ripopolata. Un tessuto viario
ricco di elementi urbanistici islamici (vicoli e
cortili) caratterizzò la nuova città. Dopo la conquista
normanna del 1087 e ancora con gli svevi, quando divenne
il centro di raccolta dei musulmani di Sicilia,
Girgenti mantenne un'importanza economica grazie ai
rapporti commerciali con l'Africa settentrionale. Nei
secoli seguenti, interrotti questi legami, la città si
spopolò nuovamente a favore dei feudi, riducendosi a
residenza di baroni e di ordini religiosi che si
costruirono palazzi e conventi. Con la ripresa economica
del sec. XVIII il centro cittadino si spostò dalla zona
del Duomo a via Atenea, e nel sec. XIX l'apertura della
'Passeggiata', oggi viale della Vittoria, e la
demolizione della porta di Ponte, dove poi sorgerà
piazzale Roma (oggi Aldo Moro), sanciscono la nuova
direttrice di espansione a sud-est.
Nel 1927 la città abbandonò la secolare denominazione di
Girgenti sostituendola con Agrigento, forma
italianizzata del suo nome latino.
Lungo la principale arteria -
via Atenea - si raggiunge il cuore della città.
“La Cattedrale è grande, luminosa, ed ha al tempo
stesso una struttura interamente acustica di modo che
quando si sta all’estremo della chiesa con la faccia
contro il muro, si può bene udire ciò, che nell’ingresso
della Chiesa si parla”
(F. Münter)
“Nella chiesa principale è conservato un antico
sarcofago i cui rilievi ritraggono la storia di Ippolito
(si tratta del cosiddetto Sarcofago di Fedra, opera
marmorea romana del II sec. d.C.)... La chiesa che
ospita questo sarcofago ha un’acustica straordinaria…una
persona che si trovi presso l’altare, proprio sotto la
cupola, riesce a sentire tutto quello che a bassa voce
viene detto vicino all’ingresso della chiesa, vale a
dire a 116 passi” (Stolberg)
“Avendo bisogno di riposo io mi limitai per quel
giorno a vedere ciò che racchiude la città di più
notabile: a questo effetto mi portai nella cattedrale
ove ebbi l’occasione di ammirare nel pezzo che
attualmente serve per fonti battesimali, uno dei più
eccellenti e forse il più bello di tutti i bassorilievi
antichi di marmo che il tempo ci abbia conservato.
...Dopo aver lungamente, e con molta attenzione
esaminata quest’urna, io sono rimasto ancora un po'
indeciso se dessa rappresentasse la storia di Ippolito e
di Fedra sua matrigna...”
(“Il Sarcofago di Fedra” tratto dal Viaggio in Sicilia
del Sig. Barone di Riedesel - Palermo 1821)
“Tutti i popoli invasero e dominarono questa terra,
uno dopo l’altro, tanto forte fu la bramosia di
possederla. E’ la terra delle arance, dei giardini
fioriti, dell’aria profumata... Ma quello che mi rende
indispensabile la visita è che essa può definirsi uno
strano e divino museo d’architettura” (Guy de
Maupassant)
Dalle nostre finestre lo
sguardo spazia sul grande, largo clivio della città
antica...
Nel suo libro Viaggio in Sicilia Goethe scriveva:
“Non essendovi in questa città nessun albergo, ci ha
dato ospitalità una gentile famiglia, cedendoci una
vasta alcova posta nel fondo di un camerone. Una tenda
verde separa noi ed i nostri effetti dai membri della
famiglia che in questa grande camera fabbricano dei
maccheroni di qualità finissima tra i quali sono pagati
carissimi quelli che, dopo avere preso la forma in perni
forati, vengono rivoltati a mano e assumono così una
forma speciale”.
L’ubicazione della casa è stata individuata nell’attuale
Via Atenea.
Poi Goethe descrive lo scenario osservato dalla casa
dove era alloggiato:
“Mai in tutta la vita ci fu dato godere una così
splendida visione di primavera come quella di stamattina
al levar del sole…Dalle nostre finestre lo sguardo
spazia sul grande, largo clivio della città antica,
tutto giardini e vigneti, sotto la cui verzura chi mai
potrebbe supporre alcuna traccia dei vasti e popolosi
quartieri ora scomparsi? Solo verso l’estremità
meridionale di questo altipiano verdeggiante e fiorito
si vede elevarsi il tempio della Concordia, mentre ad
oriente stanno i pochi dall’alto, ma l’occhio digrada
rapido verso la pianura ruderi del tempio di Giunone; le
rovine d’altri edifizi sacri, tutti in linea retta con i
precedenti, non sono visibili costiera a sud, che per
un’altra mezz’ora di strada si stende fino alla riva del
mare”.
E tanti ancora si sono
affacciati su quello stesso panorama...
“La città si trova a quattro miglia dal mare, sulla
sommità di un monte su cui sorgeva l’antica acropoli
greca. Se mai ho provato vivamente quel sentimento
delizioso che una bella vista e una gradevole posizione
sanno ispirare, è stato al mattino molto presto,
gettando lo sguardo sulla campagna che si scorge dal
convento degli agostiniani dove ho preso alloggio” (Riedesel)
“Passai la serata sulla terrazza dell'albergo
"Belvedere", che domina tutto l'altipiano. Ero solo coi
miei pensieri. Vidi il tramonto di fuoco, poi il
crepuscolo violetto, poi si fece notte. Si accesero i
lumi della città, laggiù cominciò a brillare il faro di
Porto Empedocle e, sul mio capo, le stelle. I rumori si
spensero a poco a poco intorno a me, tutto divenne buio
nelle case dormenti. Allora la luna si alzò dal mare,
rossa, grande e rapida, rallentò la sua ascesa e si fece
piccola, bianca e fredda. Ai suoi raggi rividi, nella
penombra, tutta Agrigento. La terra nera si andò
disegnando di borri e di campi, emersero dalle basse
boscaglie d'ulivi i colonnati scuri. Quella notte rimasi
lungamente così, là, nell'estasi della muta
contemplazione.”
Tratto da Sicilia 1898 – note di una passeggiata
ciclistica di Luigi Vittorio Bertarelli
“Dalla finestra dell’albergo che sta sopra un colle,
il mio sguardo, come una delle tante cornacchie che in
quel momento si libra a mezz’aria squittendo, spazia sul
vasto paesaggio della Valle dei Templi. Dalle nuvole
scure e stracciate che viaggiano rapidamente sul fondo
grigio del cielo, cade sulla valle una pioggia sottile,
brillante, silenziosa. Oltre i filari degli alberi e i
campi di grano e le vigne e gli orti e i cascinali e i
giardini, le tre alture con i tre templi minuscoli ma
precisi si profilano come tre calvari remoti sul fondo
fumoso del mare” (Moravia)
La Valle dei Templi...
Dal Viaggio in Sicilia di Guy de Maupassant,
dei templi di Agrigento scrive:
«Sembrano eretti nell’aria, in mezzo ad un paesaggio
magnifico e desolato. ..... Loro, i templi, eterne
dimore degli dei, morti come i loro fratelli uomini,
rimangono nella collina selvaggia distanziati uno
dall’altro circa mezzo chilometro».
...
«Seduti lungo la strada che corre ai piedi del
costone sorprendente, si rimane a sognare dinanzi a
questi stupendi ricordi del più grande dei popoli
artisti. Si ha l’impressione di avere dinanzi a sé
l’intero Olimpo, l’Olimpo di Omero, di Ovidio, di
Virgilio, l’Olimpo degli dei graziosi, carnali,
appassionati come noi, che impersonavano poeticamente
tutte le tenerezze del nostro animo, tutti i sogni della
nostra mente, tutti gli istinti dei nostri sensi.»
...
“Girgenti, l’antica Agrigento, offre l’insieme di
templi più sorprendente che sia dato contemplare. Sul
lungo tratto di costa pietrosa, nuda, d’un rosso fuoco,
senza un filo d’erba né un arbusto, che sovrasta il
mare, la spiaggia e il porto, contro il cielo blu dei
paesi caldi si staglia il grande profilo di pietra di
tre templi superbi. Sembrano sospesi nell’aria, in mezzo
ad un paesaggio magnifico e desolato. Intorno, davanti e
dietro a loro tutto è morto, arido e ingiallito. Il sole
ha bruciato, consumato la terra. Ma è stato il sole a
ridurla così o non piuttosto il fuoco profondo che
brucia le vene di quest’isola di vulcani? Ovunque,
intorno a Girgenti, si stende la singolare contrada
delle miniere di zolfo. Qui, tutto è zolfo: la terra, le
pietre, la sabbia, tutto. Loro, i templi, eterna dimora
degli dei, morti come gli uomini loro fratelli, restano
sulla collina selvaggia, lontani mezzo chilometro l’uno
dall’altro.” (Guy de Maupassant)
“A sinistra, c’era il mare d’Africa, calmo, azzurrino
e immenso; dietro di noi i templi di Giunone Lucina e
della Concordia; ai nostri piedi infine, conservando
ancora le tracce dei carri, l’antica via, la stessa
praticata, duemila anni prima, da quel popolo di cui
costeggiavamo le tombe” (A. Dumas)
Tempio di Zeus ad
Agrigento
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La ragazza seduta
sull'erba, alza
dalla nuca i capelli ruvidi e ride
della corsa e del pettine smarrito.
Il colore non dice o se strappato
dalla mano rovente che lontana
saluta dietro un mandorlo o finito
sul mosaico del cervo greco in riva
al fiume o in fosso di spine viola
E ride la follia dei sensi, ride
continua alla sua pelle di canicola
pomeridiana dell'isola
e l'ape lucida zufola e saetta
veleni e vischi d'abbracci infantili
In silenzio guardiamo questo segno
d'ironica menzogna: e per noi brucia
rovesciata la luna diurna e cade |
al fuoco verticale. Che
futuro
ci può leggere il pozzo
dorico, che memoria? Il secchio lento
risale dal fondo e porta erbe e volti
appena conosciuti.
Tu giri antica ruota di ribrezzo
tu malinconia che prepari il giorno
attenta in ogni tempo, che rovina
fai d'angeliche immagini e miracoli
che mare getti nella luce stretta
d'un occhio! Il telamone è qui, a due passi
dall'Ade (mormorio afoso, immobile)
disteso nel giardino di Zeus e sgretola
la sua pietra con pazienza di verme
dell'aria: è qui giuntura su giuntura
fra alberi eterni per un solo seme.
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Salvatore Quasimodo, “Il
falso e il vero verde” (1954) |
Uscendo da Agrigento, prima di continuare lungo la costa
verso est, il cantastorie de I Parchi Letterari® “Nella
dimensione del viaggio” ci accompagna ancora per una
breve tappa interna dove una poesia a mò di esempio ci
ricorda i tanti viaggiatori arabi e il lungo periodo di
dominio della Sicilia di quel popolo di quella
cultura...
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